Tablinum Cultural Management: Oggi vi vogliamo accompagnare idealmente alla Reggia di Venaria Reale dove è in corso, fino al 28 gennaio 2018, la grande mostra dedicata al pittore par excellence della Belle Epoque  Giovanni Boldini.

Ad accoglierci è il curatore della mostra, lo storico dell’arte Tiziano Panconi (BIO su Wikipedia)

La mostra, la cui prima fortunata tappa è stata a Roma, al Complesso monumentale del Vittoriano, si è poi trasferita alla Reggia di Venaria Reale (To). Inizialmente erano 160 le opere provenienti da collezioni private e oltre trenta musei internazionali, per poi essere ridimensionata a circa 110, alle quali è stata aggiunta una collezione di arredi Liberty.

Un percorso unico per conoscere la multiforme e straordinaria produzione pittorica di Giovanni Boldini, Le Petit Italien (era alto soltanto 154 cm) che conquistò la Parigi della Belle Epoque.

Abbiamo chiesto di raccontarci tutti i retroscena della mostra a Tiziano Panconi, che oltre ad essere curatore di questa grande mostra è anche autore del catalogo generale ragionato di Giovanni Boldini (edito da Edifir) e presidente del nuovo “Museo archives Giovanni Boldini Macchiaioli” dove si  raccoglie l’imponente lavoro di archiviazione che ruota attorno alle figure di Boldini e dei pittori macchiaioli e dove, tra l’altro, è possibile l’autenticazione delle loro opere (www.museoboldinimacchiaioli.com).

Tiziano Panconi intervista a Tablinum

Lo storico dell’arte Tiziano Panconi, curatore della mostra dedicata a Giovanni Boldini

Per lei il settimo libro e il terzo grande evento dedicato in carriera a Boldini. Cos’ha di diverso questa mostra dalle altre?

Questa mostra è stata pensata per rappresentare uno spaccato più fedele possibile dell’intera produzione di Giovanni Boldini che non fu soltanto l’artista dei grandi ritratti femminili o ufficiali ma molto, molto di più. Diceva Diego Martelli, critico e amico dei Macchiaioli, che le opere di Boldini “sono un misto di lasciato e di fatto”, cioè di parti ultimate e di altre incompiute. Così, allo stesso modo il suo percorso creativo fu estremamente vario, alternando dipinti prodigiosamente fotografici ad altri appena accennati, ad altri ancora realizzati con pennellate veloci e vorticose. In alcuni di essi, quelli probabilmente più emblematici, tutte queste qualità convivono.

Abbiamo dunque immaginato di rappresentare la totalità degli aspetti della sua pittura con proporzione quasi scientifica rispetto al catalogo generale delle opere e così offrire una visione il meno fuorviante possibile della sua vastissima produzione. La mostra è stata progettata come un mosaico, come se avessimo dovuto comporre un unico quadro, un archetipo della pittura di Giovanni Boldini, all’interno del quale coabitano tutte le componenti del suo stile, ognuna a parer nostro, rappresentate abbastanza equamente.

L’idea ci pare affascinante e innovativa, la realizzazione più complicata. Le mostre, lo sappiamo, non sono libri dove si possono facilmente pubblicare le immagini desiderate e i curatori devono fare i conti con la effettiva disponibilità delle opere. Com’è stato possibile intraprendere un percorso così selettivo? 

Si, in effetti ci siamo complicati la vita, perché le mostre, come lei giustamente ha osservato, si fanno solitamente con il materiale, con le opere, che si hanno a disposizione. In questo caso invece non ci siamo voluti accontentare, siamo stati ambiziosi e abbiamo preteso di scegliere. Le scelte sono state talvolta dolorose, quando magari una certa opera ci è stata offerta per esempio da un museo e, benchè importante, proprio non rientrava nella nostra pianificazione e abbiamo dovuto dire di no. Al contempo, la selezione è stata ancor più difficoltosa rispetto alle opere ritenute irrinunciabili, non sempre disponibili a prima richiesta. Ogni dipinto di questa mostra costituisce una tessera fondamentale di un discorso generale e ogni prestito una conquista spesso personale.

Questa aspirazione, questa idea di mostra iconica che avevamo, ci ha portato a estendere la ricerca e le richieste di prestito in mezzo mondo, con la conseguente proliferazione dei costi, soprattutto di trasporto, e un crescendo di tutte le difficoltà connesse al comporre quelle relazioni internazionali necessarie per l’ottenimento degli importanti prestiti. Fra i musei e le istituzioni straniere che hanno contribuito con i prestiti vi sono: l’Arwas Archives di Londra; il Butterfly Insitute Fine Art di Lugano; la Collections de la Comédie Française di Parigi; il Rau Antiques di New Orleans;
il MUDO – Musée de l’Oise di Beauvais;
 il Musée Baron Martin a
Ville de Gray;
il Musée Bonnat-Helleu e il  Musée des beaux-arts entrambi di Bayonne;  il Musée d’Orsay di Parigi; l’Ambasciata di Francia a Vienna; Il Musée de la Vénerie di Parigi; il Musée des Arts Décoratifs di Senlis;
 il Musée des Beaux-Arts di Bordeaux;
 il Musée des Beaux-Arts di Tours; il Musée des Beaux-Arts di Marsiglia;
 il Museo d’arte della Svizzera italiana di Lugano; la National Portrait Gallery di Londra e la Staatliche Museen Nationalgalerie di Berlino, oltre ad una trentina di collezioni private principalmente dislocate fra Inghilterra e Stati Uniti. Ugualmente importanti sono risultate le opere di provenienza italiana, da quelle degli Uffizi, alla Camera dei deputati, alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, da Capodimonte, dalle GAM di Milano e Torino, dal Museo Boldini di Ferrara, dalla Collezione Frugone di Genova, dalla Ricci Oddi di Piacenza e ancora molti altri.

Perché parla al plurale?

Perché in questa avventura ancora in corso non sono ovviamente solo, avendo alcuni importantissimi compagni di viaggio come il co-curatore Sergio Gaddi, fautore della decennale stagione di grandi mostre di Villa Olmo a Como e un Comitato scientifico internazionale di prim’ordine, da me del tutto modestamente presieduto.

Aggiungerei che una mostra di questo tipo e così ampia è stata possibile proprio grazie all’indispensabile contributo degli autorevolissimi membri del Comitato, sopra tutti Marina Mattei, curatrice dei Musei Capitolini di Roma, direttrice degli scavi di Largo Argentina e docente all’università Link Campus di Roma, il cui presidente è l’ex ministro dell’interno e dei beni culturali Vincenzo Scotti, a cui vanno i miei più sentiti ringraziamenti. Poi Beatrice Avanzi, conservatrice del Musèe d’Orsay di Parigi e “chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”, ossia la massima onorificenza conferita dal ministero della cultura francese. Poi Loredana Angiolino, della facoltà di storia dell’arte della Sapienza di Roma, fra le ricercatrici più importanti del nostro paese. Ancora Leonardo Ghiglia, cultore della materia, discendente del pittore Cristiano Banti e alla cui famiglia si deve la donazione di poco meno di trenta opere di Boldini alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze. Il museo, fra l’altro, è oggi brillantemente diretto da Simonella Condemi, il cui contributo è risultato fondamentale per il prestito di alcuni autentici capolavori boldiniani del periodo toscano.

Abbiamo potuto contare anche su collaborazioni e consulenze esterne come quella di Esmeralda Benvenuti, ex direttrice del Dipartimento di dipinti del XIX secolo di Sothebys Italia, di Elisa Larese, storica dell’arte italo svizzera, di Leo Lecci, della facoltà di lettere e filosofia dell’Università degli studi di Genova e sul contributo della Fondazione Foedus, risultato indispensabile per molti aspetti e per questo ringrazio il presidente ed ex ministro della funzione pubblica Mario Baccini e Gianni Puglisi, presidente del Comitato scientifico della Fondazione – del quale anche io mi onoro di far parte – e rettore dell’Università degli studi di Enna.

Debbo anche ringraziare per la professionalità tutto il personale di Arthemisia Group, società produttrice della mostra e in special modo il presidente Iole Siena. Infine una speciale riconoscenza va al Mibact, al sottosegretario di Stato Dorina Bianchi e sopra tutti al ministro Dario Franceschini, autore della bella e importante presentazione al catalogo della mostra pubblicato dalla Casa editrice Skira, presieduta da Massimo Vitta Zelman.

La mostra è divisa in quattro sezioni che rappresentano le diverse fasi dell’attività di Giovanni Boldini. Ce ne descriva una.

Il rapporto fra eleganza e universo femminile è al centro della scenografica galleria di ritratti di alcuni dei più famosi personaggi dell’epoca come la bellissima Berthe, la sensualissima contessa de Rasty o la statuaria Emiliana Concha de Ossa. Fra i raffinati ritratti maschili quello notissimo di Giuseppe Verdi o del pittore macchiaiolo Cristiano Banti.

La prima sezione è dedicata al periodo toscano, 1864-1870. Fin dal suo esordio, cioè fin dal lungo soggiorno fiorentino iniziato appunto nel 1864, l’artista partecipò al clima rivoluzionario della Firenze risorgimentale e ai moti di rinnovamento ideologico e artistico dei Macchiaioli, avvertendone tutta la portata innovativa. Firenze, negli anni sessanta dell’800, era la capitale artistica italiana e vi convenivano abitualmente i più importanti maestri europei, in particolare francesi, dando luogo a continui scambi culturali e reciproche influenze stilistiche fra Italia e Francia. Furono questi, anni di straordinaria creatività per l’artista che a Firenze pose radici profonde che costituirono la solida base luministica della sua successiva cifra francese. La luce potente della “Macchia”, con le sue forti contrapposizioni chiaroscurali, rimase infatti per Boldini una sorta di ossatura compositiva sulla quale via via innestò i successivi aggiornamenti stilistici.

Avete proposto confronti con altri artisti?

Naturalmente. Nella prima sezione, quella cioè dedicata al suo soggiorno fiorentino, il confronto, quasi dialettico, è con gli artisti e compagni del Caffè Michelangelo, come Telemaco Signorini, Cristiano Banti e Vincenzo Cabianca. Quando Boldini si trasferì a Parigi chiaramente lo scenario di amicizie e relazioni si fece più ampio. Lì ritrovò gli italiani Federigo Zandomeneghi, Giuseppe De Nittis e più tardi Vittorio Matteo Corcos – rappresentati nel percorso espositivo da degli autentici capolavori – e si confrontò con maestri come James Tissot e Antonio de la Gandara, anche questi presenti con opere di altissima qualità. De la Gandara fra l’altro, sebbene sia stato uno dei più grandi ritrattisti della Parigi dell’epoca e certamente fra i principali antagonisti per Boldini sul mercato dei ritratti, non era fino ad oggi mai stato rappresentato nelle mostre dedicate a Giovanni Boldini. Lo stesso vale per Joaquin Ruano, l’artista spagnolo al quale il maestro ferrarese consacrò uno dei suoi ritratti più belli e intesi, anche lui partecipe alla mostra del Vittoriano con una delle sue tele più emblematiche.

Dal punto di vista scientifico ci sono nuove scoperte?

Direi che uno dei punti caratterizzanti di questo evento è stato proprio il lungo lavoro di ricerca di archivio che lo ha preceduto, di circa quattro anni. Ci siamo infatti cimentati in articolate attività di spoglio negli archivi francesi, svizzeri, inglesi e sudamericani, in particolare cileni e naturalmente italiani, nei quali ritenevamo potessero essere ancora oggi custoditi carteggi inediti di Giovanni Boldini. Il risultato è stato tal volta deludente e in altri casi più profittevoli, seguendo le giuste tracce storiche e, con un po’ di fortuna in più, siamo invece riusciti a scoprire intere corrispondenze, delle quali si sospettava l’esistenza ma fino a ora sconosciute. Esaltante!

Infatti nel catalogo sono state pubblicate circa 40 lettere inedite di Boldini, con relative note. Oltre a questo abbiamo rintracciato gli eredi – sparsi in giro per il mondo – di alcune delle donne più famose ritratte da Boldini e così recuperato, da nipoti e pronipoti, le fotografie dell’epoca delle nonne o bisnonne. Questo ricchissimo album di immagini pubblicato sul catalogo, restituisce per la prima volta un volto “esatto” a donne leggendarie come Olivia Subercaseaux Concha, Dora di Rudinì o Rita Lydig de Acosta, consentendo un utilissimo confronto fra le loro immagini fotografiche e quelle traslate dal genio di Boldini.

Queste ricerche sono naturalmente alla base dei numerosi saggi, come quello a firma di Leo Lecci, dei miei, di Marina Mattei, di Loredana Angiolino e Sergio Gaddi, mentre le lettere e i carteggi inediti in francese sono stati tradotti da Eleonora di Iulio.

Ci menzioni tre opere da non perdere.

In ordine cronologico certamente per primo il piccolo ritratto degli anni sessanta di Diego Martelli della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti. Il personaggio, amico, critico e mecenate di Boldini e dei Macchiaioli, è ripreso in un atteggiamento del tutto spontaneo, seduto su un tappeto persiano, con le gambe incrociate all’indiana. Dietro di lui un ambiente perfettamente descritto, con una tela appoggiata a una parete, la stufa e le suppellettili. Un dipinto estremamente innovativo per l’epoca, nel quale attraverso la rappresentazione della gestualità della mimica abituali del personaggio e la descrizione del luogo, si restituisce una narrazione ampia e profonda della sua personalità. Il tutto in una impaginazione luministica e sintattica macchiaiola, con le tipiche abbreviazioni descrittive delle forme e il sicuro fraseggio di chiaroscuri in una luce piena e potente.

Fra i capolavori assoluti di Giovanni Boldini vi è poi Berthe che legge la dedica su un ventaglio, eseguito sul finire del cosiddetto  periodo Goupil (1871-1878). La ritrattata era la bellissima amante e convivente di Giovanni Boldini. Una stupefacente icona di grazia e sensualità femminile. Boldini rappresentò Berthe come una donna emancipata, di una avvenenza pungente e modernissima, consapevole della propria femminilità e sexappeal. Alta, magra, bionda, vita d’ape, dita lunghe e affusolate, naso all’insù, elegantissima ma soprattutto dipinta con uno stile e una tecnica senza pari, irripetibile anche per Boldini.

La tenda rossa è a mio avviso un altro quadro fra più acuti della produzione dell’artista. Rappresenta una signora ripresa di profilo, a mezzo busto, mentre con la mano sta per portare la sigaretta alla bocca. Potremmo considerarlo un archetipo dello stile boldiniano, nel quale convivono tutte le peculiarità della sua cifra espressiva. Ma non voglio dirle altro per non toglierle il piacere di vedere la mostra… .

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Berthe che legge la dedica su un ventaglio courtesy of Butterfly Institute Fine Art Lugano

Come è iniziata la sua passione per Boldini?

Nella metà degli anni novanta, forse era il 1995, fui contattato da Mario Murari, nipote e erede universale di Emilia Cardona Boldini, che insistette per affidarmi la compilazione del catalogo generale delle opere di Giovanni Boldini. Con un po’ di titubanza accettai l’incarico e mi proiettai di colpo nell’universo boldiniano, rimanendone neanche a dirlo stregato. Fra i primi viaggi propedeutici vi fu quello a San Paolo del Brasile dove fui accolto dal direttore del locale museo d’arte  e potetti visionare le numerose opere dell’artista presenti in città. Mi ricordo ancora con emozione la visita a porte chiuse della grande mostra di sculture di Degas e le due opere di Giovanni Boldini che per l’occasione erano state spostate nei caveaux sotterranei del museo.

Da allora è stato un crescendo di viaggi e incontri, sempre con la finalità di vedere e esaminare le opere del maestro, dipanando tal volta delicate questioni attributive, con l’obiettivo di epurare il mercato dell’artista dai falsi. Una piaga che purtroppo attanaglia il mercato di Boldini, imitatissimo anche da artisti coevi, fra i quali spiccano alcuni pittori spagnoli dalle notevoli capacità tecniche. Queste opere hanno nel tempo tratto in inganno anche esperti di provata esperienza e alcune sono state perfino pubblicate in libri non autorizzati dagli eredi dell’artista, o venduti in asta, anche se a prezzi bassi (irrealistici), e altresì presentati in mostre monografiche in gallerie molto note. Direi quasi un mercato parallelo che non di rado riesce a intrecciarsi con quello ufficiale.

In un percorso quasi a ritroso, cioè partendo per primo dall’analisi stilistica della pittura e della materia, iniziai poi a studiare la biografia di Boldini e a leggere tutto ciò che era stato scritto su di lui. Nel volgere di qualche mese la lettura si fece studio e la curiosità indagine.

Cosa ha in serbo per il prossimo futuro?

Certamente un’altra grande mostra su un altro maestro italiano, alla quale sto lavorando da tempo ma su cui preferisco mantenere il riserbo. A brevissimo la pubblicazione del Catalogo generale ragionato delle opere di Telemaco Signorini, un tomo di oltre 1000 pagine, che uscirà in Italia in primavera, edito dal Museo archives Giovanni Boldini Macchiaioli. Il Museo archives Giovanni Boldini Macchiaioli, persegue le filosofie del “museo attivo”, itinerante, che non espone le opere in forma permanente nelle proprie sedi ma le concede invece in prestito a istituzioni, a altri musei e per mostre culturali pubbliche. Ciò anche per scongiurare il fenomeno della stagnazione dell’offerta culturale, perché non sia sempre la stessa reiterata nel tempo, consentendo di veicolare l’ampia proposta culturale del Museo attraverso circuiti dinamici e sempre nuovi.

La propria raccolta, sostenuta dalle concessioni dei collezionisti privati nazionali e internazionali, è composta da circa 350 dipinti altamente significativi e fra questi alcuni capolavori della pittura italiana dell’800 ma anche di artisti contemporanei come Damien Hirst.

Il museo, in particolare, promuove, divulga e tutela, la pittura italiana del XIX e XX secolo, collaborando con fondazioni, università e aziende pubbliche e private.

Nelle collezioni sono conservati, fra gli altri, dipinti di: Vincenzo Cabianca, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Antonio Puccinelli, Alberto Pasini, Telemaco Signorini e naturalmente di Giovanni Boldini.

Il Museo si occupa anche di certificare l’autenticità delle opere e della tutela legale?

Il Museo detiene il più vasto archivio fotografico e epistolare sul genere, conservando oltre 450.000 immagini e alcune centinaia di lettere autografe degli artisti macchiaioli, oltre al fondo Cardona-Boldini, composto da immagini, biglietti e lettere del maestro e della moglie Emilia Cardona, oltre a disporre di una biblioteca specializzata sul genere composta da alcune migliaia di titoli.

Scrivendo al nostro indirizzo email gli utenti potranno richiedere le condizioni di servizio per ottenere la disamina attributiva della propria opera di Giovanni Boldini, Vittorio Matteo Corcos, Giuseppe De Nittis, di Giovanni Fattori, Federigo Zandomeneghi e di tutti gli artisti del gruppo dei Macchiaioli o attivi fra Firenze, Napoli e Parigi alla fine del XIX secolo. Il Museo dispone inoltre di un ufficio legale specializzato.

I certificati di autenticità rilasciati dal Museo sono accettati ai fini assicurativi, legali e da tutte le principali case d’asta, gallerie e collezioni internazionali. Tutti i servizi offerti dal Museo siano già attivi online o presso gli uffici di Pistoia.

Intendete anche incrementare le vostre collezioni?

Come dicevo Il Museo persegue la filosofia del “museo attivo”, in continua espansione e investe i proventi derivanti dalle proprie attività, da donazioni e finanziamenti pubblici e privati, nell’acquisto di opere d’arte o della loro “nuda proprietà”, al fine di arricchire e incrementare le proprie collezioni.

In particolare il Museo è alla ricerca di opere altamente significative della produzione di Giovanni Boldini, Vittorio Matteo Corcos, Giuseppe De Nittis, Alberto Pasini e Federigo Zandomeneghi.

Vendere al museo è semplice e immediato, basta contattarci.

Il Museo valuta anche proposte di concessione gratuita o onerosa. Non è infrequente infatti che importanti tele di proprietà privata siano conservate in depositi o caveaux non sempre in condizioni ideali per la loro perfetta conservazione, essendo esposte a rischi di deterioramento. Le cui principali cause sono le alterazioni e sbalzi igro-climatici, le condense, l’umidità, la siccità e le polveri.

Il Museo può prendersi cura delle opere di terzi, custodendole in condizioni ottimali, in assoluta sicurezza e assicurate contro tutti i rischi e sottoporle a eventuali interventi conservativi e di restauro. I contratti di concessione temporanea sono biennali o quinquennali e in alcuni casi prevedono la corresponsione di un loan fee dell’1% annuo sul valore economico.

Quindi ancora grandi mostre?

Il Museo archives Giovanni Boldini Macchiaioli progetta, cura e produce grandi mostre culturali, collaborando con musei e società private internazionali. Il Museo fornisce anche singole opere o interi pacchetti per la realizzazione di eventi espositivi di pubblico interesse e di alto valore scientifico.

Questo tipo di offerte sono riservate a fondazioni, comuni, assessorati, associazioni, musei e società di produzione.

Molti comuni, assessorati alla cultura e aziende private si stanno rivolgendo a noi per la realizzazione anche “chiavi in mano” di grandi eventi culturali.

Promozione, tutela e valorizzazione dei beni e delle attività culturali italiane sono le parole d’ordine della nostra attività, incentrata sull’interscambio intellettuale fra culture e territori.

 

Alessandro Cerioli