Studio Tablinum: Paul Scott Malone è un affermato artista americano, vive a Huston, in Arizona e dopo una brillante carriera da scrittore e giornalista ha deciso di dedicarsi interamente alla cosa che ama di più nella sua vita: la pittura. Come potrete notare lo chiamo per nome perché me l’ha chiesto lui e penso che ciò sia significativo per capire che Paul, oltre ad essere un grande artista, è anche una grande persona.

Ve lo voglio presentare attraverso quest’intervista, lascio a Voi il piacere di scoprirlo!

“Paul, come hai scoperto questa passione?”551908_4572028903955_1246771661_n

“Ho scoperto questa passione quando ero un ragazzo. Mia mamma, pittrice di rose soprattutto -ma anche di paesaggi e ritratti- vide dentro di me un talento nascosto e mi iscrisse a un corso estivo di pittura presso lo Studio di una sua amica pittrice, una sorta di zia per me. Era divertente spargere il colore sulla tela e arrivare a casa ricoperto di pittura, e per molti anni -nella mia giovinezza- sono stato convinto di voler dipingere ritratti di qualsiasi cosa per tutta la vita. Così ho iniziato a dipingere fiori e paesaggi, anche se in minor quantità, perché pensavo fosse la cosa per cui ero maggiormente portato. Il passaggio all’astrattismo avvenne molti anni dopo.”

“Ma sei anche un affermato scrittore, giusto? Come hai sviluppato questa tua seconda passione? E la pittura che ruolo ha ricoperto nel periodo in cui ti sei dedicato ad essa?”

“Durante gli anni del College ho iniziato a leggere molti romanzi di autori importanti e ho scoperto di amare anche la scrittura. Ho focalizzato la mia attenzione su romanzi e poesie, lasciando che la pittura si insinuasse dietro le quinte, continuavo comunque a disegnare e dipingere qualcosa. Ho iniziato a lavorare come giornalista per guadagnarmi da vivere per circa 5 anni, ma desideravo raggiungere altre mete.

Così sono tornato al College e mi sono laureato nel 1986 presso l’Università dell’Arizona in “Scrittura creativa e Letteratura contemporanea”. Durante questi anni scrivevo e leggevo costantemente.

Ho anche pubblicato un libro di testo sulla retorica mentre ero all’Università. E’ in questo periodo che ho cominciato a scrivere racconti brevi che, insieme ad altri, (dopo averli corretti e rivisti a lungo) sono confluiti nel mio primo romanzo intitolato “In un’Arida Zona: 13 storie del Texas”; pubblicato nel 1995 e vincitore del premio “Miglior libro di racconti”, elargito dall’Istituto di Lettere del Texas nel 1996. Ha anche ricevuto una recensione molto favorevole nel NY Times Book Review, poco dopo la pubblicazione.

Ho continuato a scrivere altri libri di racconti: “Il giorno della Memoria e altre Storie” e il mio unico romanzo “Questa casa di donne” che è stato onorato con un premio veramente prestigioso da parte dell’Associazione di Bibliotecari dell’America occidentale che si chiama “Donne che raccontano il West”; sono stato il primo uomo a vincerlo!

Ma non potevo non permettere alla pittura di intrufolarsi nella mia vita e, a metà anni ’90, è diventato il mio principale canale d’espressione -anche per l’influenza dovuta alla morte di mia madre-.

Nel 1997 ho creato più di 100 tele a olio e a pastello (per non menzionare gli schizzi minori) e utilizzavo qualsiasi materiale: colori ad olio, pastelli, acquerelli, matite e carboncino. Da questo momento non c’è stata via di ritorno. Più dipingevo e più la passione cresceva. Ci pensavo costantemente, sognavo di dipingere e lavoravo 12,14 o 16 ore a giornata.

Quando ho iniziato a vendere qualche tela ero completamente preso da essa. Amo tutto ciò concerne la pittura e anche il processo stesso di dipingere. Ho fatto qualche corso per migliorare in questo campo ma da questo momento, tutto quello che volevo, era dipingere. Era un amore che si era sviluppato dal profondo del mio cuore, di cui non ne ero nemmeno a conoscenza in quei giorni.

Tra il 1998 e il 1999 ho creato più di 200 quadri, alcuni piccoli altri abbastanza grandi. Ho visitato l’Europa diverse volte per vedere le opere dei più grandi pittori in Italia, in Francia, in Germania, in Spagna, in Gran Bretagna.

Per molti anni il mio lavoro barcamenò tra il Relativismo e l’Astrattismo. Il Realismo non mi ha mai particolarmente interessato, anche se ho continuato a fare alcuni disegni e quadri realistici –tutti distrutti adesso- solo per dimostrare a me stesso che ero abile anche in questo campo. Ma ho scelto di non farlo. Dal 2004-2005 ho scoperto di avere un buon talento per i quadri ad olio, un talento che non potevo ignorare. Ho lasciato perdere tutto il resto e ho abbracciato l’Astrattismo. L’amore e la passione crescevano continuamente. Ora non potrei immaginare la mia vita senza pittura. Anche solo l’odore del colore e tutti gli altri elementi che servono per un dipinto mi attraggono nel mio studio come una farfalla è attratta da un bel fiore. Se anche ci provassi non potrei proprio tornare indietro, sia che le persone apprezzino o no i miei lavori. Dipingo per me stesso e se a qualcuno piace bene, sennò non cambia nulla. Adesso l’arte è tutto ciò che mi interessa e spero di morire nel mio studio.”

“Perfetto, continuerei con un’altra domanda. Mi hai detto che sei stato in Europa, quali artisti ti hanno impressionato di più?”

“Sono stato in Europa diverse volte, desideroso di scovare i grandi artisti del passato e qualsiasi altra cosa che potesse mostrarmi la mia strada. Ho apprezzato tutte le grandi opere ma soprattutto gli Impressionisti, (specialmente Van Gogh) e con lui ho iniziato a capire cosa cercavo nel mio lavoro. Non sono mai stato un realista ma l’Impressionismo mi ha rivelato una nuova prospettiva con cui vedere le cose –fiori, visi, l’amore, la crudeltà; tutto- e ho realizzato che ciò che si nasconde sotto i nostri occhi è l’essenza della vita.

Potrebbe essere qualsiasi tipo di realtà, se qualcosa è reale, ma non è la verità che troviamo nei nostri animi, cuori e menti, che sono così spesso oscurati da centinaia di punti di vista e desideri.

Esorto chiunque a mostrarmi una realtà oggettiva -al di là dal vento e dal fuoco- e so personalmente che la verità fuoriesce attraverso molte maschere. Ma poi la verità non è nelle nostre mani. Con la ricerca possiamo solo afferrarne alcuni barlumi; e questo è tutto.

E poi venne Picasso. E Matisse. Lucien Freud. Jackson Pollock. E una dozzina di altri. Credo di non averne tralasciato nessuno, anche se sono molti. La maggior parte dell’arte non mi impressiona minimamente.

Ma poi venne Mark Rothko. Quando ero al College ero solito trascorrere molte ore nella “Rothko Chapel”; osservavo le sue enormi tele in cui vi era dipinto nient’altro che un unico colore che cambiava quando i raggi del sole penetravano tra le finestre ma tornava sempre al suo posto la mattina successiva.

Per molti anni ho ritenuto che Rothko abbia risolto l’essenza dell’arte; l’aveva affinata verso l’elemento maggiormente indispensabile: il colore. Ci ha dimostrato che per dar forma a un pensiero, ad un’emozione e ad un’armonia profonda è necessario nient’altro che il colore. Tutto il resto è superfluo. E per un breve periodo sono stato attratto dal suo incantesimo, dipingendo tele con al massimo due sfumature di color arancio o viola.

Ancora, mi ha mostrato che la principale questione dell’arte -che cosa costituisce o meno una grande opera d’arte?- che è così lontana e insolubile, era risolvibile. La difficoltà sta nella domanda.”

“E questi Artisti hanno influenzato la tua arte?”

“Per evitare qualsiasi tentativo di imitazione, ho potenzialmente smesso di frequentare musei o gallerie, di leggere libri d’arte, di cercare altri artisti da incontrare e di andare alle feste. Infatti adesso non ho molti conoscenti che posso definire artisti. Ho vissuto, e vivo, una vita appartata -quasi solitaria- e tranquilla, e non vorrei fare diversamente.

Ho frequentato la Scuola di specializzazione in scrittura creativa all’Università dell’Arizona ed è cresciuto l’amore per il deserto, la parte remota degli U.S.A; che sembra ancora così incompleta. Vivo a circa 60 miglia dal confine col Messico e non vi è nulla se non cactus, sabbia e animali del deserto. In questo posto, per anni, ho ricercato la mia dimensione di dipingere. Ho provato di tutto su tela o carta, e solitamente tutto è finito distrutto.”

“Quando hai trovato la tua dimensione di dipingere?”

“Nel 2004, quasi per caso. Lo strumento che ho scoperto era una pistola ad aria compressa, non un aerografo. Ho fatto esplodere un po’ di pittura su una tela ed ero veramente dispiaciuto ma -“Wao!”- all’improvviso avevo trovato la mia strada. Non avevo idea di cosa si fosse creato ma più lo analizzavo e più ci vedevo un qualcosa.

Notavo immagini che mi trasmettevano spasmi di riflessioni, colori che non avevo mai nemmeno sognato, emozioni che mi hanno fatto piangere. Prima avevo sempre distrutto o bruciato le mie creazioni ma finalmente avevo trovato la mia strada. Ho fatto una ricerca su internet e tra i libri, ho guardato dovunque e non ho trovato nessuno che dipingesse come me. Alcuni erano simili, ma ancora lontani da quello che avevo scoperto. Continuavo a dipingere con pennelli e altri strumenti ma mi basavo soprattutto sullo spargere vernice sino a quando non intravedevo qualcosa, qualsiasi cosa.

Talvolta serve un unico schizzo, altre 20 o 30. Alcune volte un giorno, altre 4 o 5 anni.

Quasi sempre però ho trovato l’immagine nascosta al di sotto di questa pittura (o un qualcosa di simile) e così mi lascio trasportare e continuo su questa strada.”

“E così sei giunto all’Astrattismo, giusto Paul?”

“Così sì, finalmente ho abbracciato l’Astrattismo. Disegno o dipingo raramente un nudo -tranne le orecchie, quelle non le sopporto!- e le altre parti del corpo sono distorte; il viso poggia su una sorta d’inquadratura obliqua (penso sia un sentore di cubismo).

Ma c’è sempre un qualcosa di strano, bizzarro o ultraterreno nella grande arte e in quella sublime. Pensa al “ 3 Maggio” di Goya, del 1808, e a molti altri. Sono tutti minacciosi! Per molte persone suppongo che l’insolito e il misterioso siano inquietanti. Ma i grandi artisti hanno sempre, sia che lo sapessero o no, scavato nel cuore e nell’animo umano per vedere quello che potevano trovare, per rivelare quello che hanno visto, per ritrarre a volte il movimento e a volte la calma di quello che noi consideriamo realtà. Grazie a loro esiste così tanta bellezza nel mondo.

Gli astrattisti fanno la stessa cosa ma in modo più diretto e, come credo, veritiero. La mente, per me, è così vasta e varia quasi quanto l’universo fisico è immenso e meraviglioso.

La mente di quale persona non è in costante stato di disordine, cambiamento; anche mentre si dorme la mente è spesso ricca di idee sconosciute -musica, ansietà, confusione, immagini, felicità, mistero-? Chi sa cos’ altro vi soggiace? Dobbiamo inoltrarci e cercare di capirlo.

L’arte astratta, venendo meno la formalità del passato, è la migliore in questo campo: permette di cercare le fonti e i meccanismi dentro la nostra interiorità illusoria, che l’artista deve cercare di scovare in modo tale da poterlo trasmettere agli altri. Il mio lavoro non significa turbare ma consta semplicemente in ciò che vedo.

Si interroga su questioni alle quali non può ancora essere data una risposta, cercando risposte che potrebbero non avere un significato apparente perché non c’è null’altro -a parte il cielo notturno forse- che può offrire un barlume del mistero della vita; non importa quello che dice la religione.

Sebbene abbiamo imparato molto, attraverso i secoli, sul funzionamento della vita, non abbiamo ancora la minima nozione di tutte le possibilità che si trovano al di là del cielo, delle stelle, del Sole; sappiamo ancor meno ciò che si è evoluto all’interno delle nostre menti, dei nostri cuori e delle nostre anime. Così il dialogo artistico continua, ci guida e deve farlo. La storia è progresso verso il nuovo, mondi distanti e talvolta spaventosi; nel bene e nel male. Penso che dovremmo proseguire con la storia.”

“Pensi che le persone che osservano i tuoi quadri intuiscano quello che vuoi esprimere o vedano semplicemente macchie di colore?”

“Questa domanda mi è stata fatta molte volte quando qualcuno stava osservando i miei quadri: “C’è qualche tipo di messaggio o significato?” La mia solita risposta è, dal momento in cui non mi piace sprecare il mio tempo con questo tipo di domande, (visto che noto un velo sarcastico e perché voglio chiudere la discussione) dire che “significa quello che vuoi farlo significare”. Il messaggio è rinchiuso in ciò che vuoi vedere o sentire dalle macchie di colore sulla tela. Le persone solitamente annuiscono o scuotono la testa e la discussione finisce lì.

La maggior parte delle persone non vuole capire la mia vera domanda, che è molto più semplice e diretta.

“C’è un significato o un messaggio in tutto ma per i segnali di arresto e le nuvole tempestose? E perché l’arte deve comunque -perlomeno la più raffinata- esprimere un messaggio o un significato?”

La grande arte non deve necessariamente farci piangere, arrabbiare, istruirci o essere bella.

Chi sono io per dirti cosa pensare, attraverso la scrittura o la pittura, o per offrirti significati e messaggi con i quali essere in disaccordo?

Le mie opere sono solo le mie opinioni e impressioni che derivano dal mondo naturale, o dalle vie spesso scandalose degli umani, e io non sono un profeta mandato dal cielo per mostrarti la strada o dirti la verità.

Io sono solo un artista, un pittore, come le altre persone sono meccanici o direttori, e questo è quello che dipingo grazie alla mia piacevole immaginazione che si è rivelata nella mia mente, che a sua volta mi ha mostrato una strada da percorrere, da sperimentare; sia che io comprenda o meno dove sto andando. La destinazione si rivelerà solo quando la raggiungerò.”

“Cosa intendi per “oltraggiose vie umane?”

“La Russia ha recentemente invaso l’Ucraina e, sotto la minaccia della sua forza travolgente, ha portato via la Crimea. La Russia potrebbe o meno avere ragione ma, al di sotto di tutta questa grande questione c’è una domanda: Porterà questo gesto, questo comportamento degli esseri umani, a più guerra e distruzione sulla Terra? Per me, in quanto cittadino del mondo, è un atto oltraggioso commesso da una Nazione (o insieme di persone) contro un’altra (che è sempre un insieme di persone). L’Arte non deve -o meglio- non dovrebbe, occuparsi del fatto che la Russia sia nel torto o no.

Con la frase “scandalose vie degli umani” intendo le cose che facciamo agli altri, o a noi stessi, o che gli altri ci fanno; che ci sembrano inusuali, non necessarie, eticamente scorrette o immorali: quel tipo di cose che si leggono sui giornali e che si conoscono dalla Storia.

Dovrebbe essere mio compito, in quanto artista -o dovrebbe essere necessario- dipingere o scrivere una storia che condanni la Russia per quello che ha fatto? Devo, in quanto artista, condannare l’omicidio, il rapimento, il furto, la crudeltà, la barbarità, le aggressioni, la guerra? Si condannano da sole.

Chiunque abbia una certa sensibilità nell’apprezzare l’arte avrebbe trovato un “messaggio” superfluo da parte dell’artista. Alcuni potrebbero trovarlo offensivo, come ho fatto, dal momento che chiunque abbia la capacità di apprezzare la grande arte probabilmente conosce già ciò che pensa l’artista senza doverglielo chiedere. Le macchie di colore sulla tela sono molto più interessanti, e certamente più divertenti.”

“Adesso vorrei farti questa domanda: mi hai detto che le atrocità degli uomini si condannano da sole ma sul tuo sito ho visto una serie di dipinti, intitolata “Black”, che mi sembrano connessi la guerra; alcuni sembrano esplosioni atomiche! A che cosa pensavi mentre dipingevi? Perché hai deciso di dargli quel titolo?”

Magari questa serie di dipinti rappresenta esplosioni atomiche, non lo so. È un’osservazione percettiva; ma sono contento che vedi un messaggio nel titolo perché sicuramente è questo il mio stato d’animo quando sento, leggo o vedo una foto di un’esplosione atomica. Tutti noi sappiamo cosa potrebbe significare: “Incombe un’altra guerra nucleare sul nostro orizzonte?” . Nero segnale se mai ci fosse.

Allo stesso tempo, quando ho permesso a me stesso di cercare un significato in quei quadri, ho sempre visto cose simili a trattori e il cielo sereno. Curiosamente ho una dozzina di quadri che si intitolano “Eruzioni” ma nemmeno io so che cosa sia esattamente il concetto di eruzione. Anche un Coca-Cola può esplodere, o una palla. Inoltre ho una raccolta di quadri simile alla serie “Black” ma l’ho intitolata “White”. Perché?

Lascia che ti dica una cosa: quando dipingevo i miei primi quadri realistici ero solito dar loro titoli specifici che riprendevano il soggetto del quadro, quando poi ho iniziato ad abbracciare l’astrattismo mi è risultato difficile scegliere il nome di un quadro; così ho iniziato a numerarli. Ecco perché alcuni miei quadri si chiamano, ad esempio, “Composizione 351”; potevo anche non dar loro un nome ma in tal modo era più semplice distinguerli.

Ma alcuni miei amici e mentori si cominciarono a lamentare, dissero che dovevo dare all’osservatore anche semplicemente un cenno che potesse aiutarlo a capire quello che volevo rappresentare. Così ho osservato a lungo la serie di cui stavamo discutendo e ho notato che l’unico elemento che questi dipinti avevano in comune era il colore: ecco dunque che l’ho chiamata “Black”.

E ora l’ultima domanda: “a che cosa stai lavorando attualmente?”

“Giusto adesso sto terminando una serie intitolata “Rosso” perché è il colore preminente di questi quadri, che sono affascinanti e pieni di mistero; fonte di tutte le emozioni. Ma sto anche pensando di continuare una serie che si chiama “Canyon” . Ho delle tele già stese con dei vecchi dipinti di cui non mi ricordavo più; discordano col dialogo che mi stanno offrendo ma sono dipinte con i toni della terra, i miei preferiti.

Voglio recuperarle e, grazie alle conoscenze e alla maestria che ho accumulato durante gli anni, trasformarle in modo tale che i colori e le linee saltino fuori, ti afferrino per il naso e ti dicano:

“Guarda! Guardate! Tu non hai mai visto nulla di simile prima e non vedrai mai più nulla di simile in futuro. Goditela finchè puoi!”. Amo dipingere, veramente.

Quando sono tornato a vivere in Arizona, terra realmente desertica a differenza del Texas -c’è una sorta di porzione di terra desertica solo nella regione occidentale- ho rinnovato la mia paura per il deserto, per quello che ci trasmette sul nostro passato e su noi stessi; non tanto per la sabbia e i cactus ma per l’atmosfera generale di incompletezza e di nudità, rara sulla Terra.

Il deserto è simile a una donna, non importa se bella o brutta, è come una modella con un corpo formoso da dipingere -curve, spigoli, strani capricci racchiusi tra le ossa intermezzati da parti più morbide- . Un corpo che rivela la tremenda profondità della realtà umana, siamo anima e corpo!

Le forme, i colori e tutto ciò che esprime sul passato della Terra incute abbastanza timore. In diversi modi, tutto ciò che dipingo proviene dal desertico Sud-Ovest americano. Non è solo una magnifica modella ma anche un eccellente giaciglio, se sai come comportarti con essa.”

“Grazie mille Paul per questa interessante intervista. Spero che l’Arizona, il deserto e la realtà della vita continuino ad ispirarti e spero che ti permettano di esprimere la tua interiorità. Tu hai questa qualità e non è un qualcosa di comune.”

Camilla Oliveri