Tablinum: osservando le sculture di Brigitte Cabell, abbiamo l’impressione che l’artista abbia non creato un’opera grazie alla materia, ma che di quest’ultima ne abbia rivelato la più intima essenza. Brigitte Cabell è, senza dubbio, colei che ha dato voce alla pietra, plasmando la sua forma primordiale.

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Brigitte Cabell, artista tedesca nata in Germania presso Berlino, ha lo studio nella Reismühle – Monaco di Baviera, è vissuta per molto tempo a Firenze. Ha studiato medicina in Germania e ha lavorato come cardiologa fino sei anni fa in clinica, parallelamente alla clinica gli ultimi 14 anni ha frequentato diverse accademie in Germania, Austria, Italia, concentrandosi sullo studio di pittura e scultura; quest’ultima si è rivelata più affine al suo animo. Ha esposto a Monaco, Berlino, Venezia, alla Triennale delle arti visive di Roma, nonché a Como presso l’officinacento5, in collaborazione con Tablinum Cultural Management.

1) Brigitte, per molto tempo è vissuta in Italia, particolarmente a Firenze: la passione per la scultura era già nei suoi pensieri? Come è riuscita a conciliare gli studi di medicina e la frequentazione dell’accademia?

La passione per la pittura e la scultura è cominciata certamente a Firenze dove sono cresciuta con l’arte del Rinascimento, in special modo mi avevano affascinato le sculture di Michelangelo, Donatello e dei fratelli della Robbia. Durante gli studi di medicina ho frequentato di sera l’accademia d’arte e ho approfondito specialmente i disegni del corpo umano. La mia prima esposizione di pittura (ritratti) era a Firenze all’età di 17 anni. Durante la mia attività in clinica ho frequentato soprattutto negli ultimi 14 anni, sempre durante le vacanze, diverse accademie per scultura e pittura.

2) Le sculture che ho avuto il piacere di ammirare alla mostra di Como, “Le cinque anime della scultura”, sembrano quasi delle pietre trovate in un luogo lontano, in una terra mitica. In uno stesso pezzo si alternano superfici sbozzate ad altre lisce e perfette, ma l’impressione è di trovarsi di fronte a una pietra rara, restituitaci dalla natura stessa. Ha voluto rappresentare, in questo modo, un osmosi tra l’uomo e la natura?

Il lavoro con la pietra è la mia grande passione, entro in un dialogo con la pietra, essa stessa fa andare avanti lo scalpello. Lavoro sopratutto con serpentine dall’ Africa (Zimbabwe), loro hanno un’età fino a tre miliardi di anni, ho un grande rispetto davanti questa materia e lascio parti in originale. Con queste serpentine lavoro quasi solamente a mano, mentre con il marmo uso anche un scalpello pneumatico e la flex (strumento per levigare il marmo). Due volte all’anno lavoro in Carrara.

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3) Il rapporto che Lei ha con la materia sembrerebbe intuitivo, non fa uso di modelli o bozzetti. Le pietre usate sono perlopiù il marmo, l’arenaria, l’alabastro, il serpentino dello Zimbabwe. Avrà sicuramente viaggiato molto. Sono stati i luoghi che ha visitato a suggerirle i materiali scelti?

Ancora non sono stata in Africa, il mio primo incontro con le pietre di Zimbabwe è stato tredici anni fa ad un workshop con scultori di quella terra. Da allora si è sviluppato in me un grande amore. Conosco in Germania un commerciante vicino Norimberga che importa ogni anno tonnellate di serpentine e springstone da Zimbabwe, vado là e scelgo le pietre che mi interessano.

4) Ci sono delle fonti letterarie o artistiche dalle quali attinge per la realizzazione delle sue opere?

Mi sono sempre interessata di mitologia e fiabe. Penso che il mio lungo lavoro in medicina interna mi abbia anche influenzata.

5) La sua arte non è imitazione delle cose, bensì le rivela: è questo secondo Lei il compito della scultura oggi? Siamo inondati di immagini, forse avremmo bisogno di ritornare alle “forme primordiali”?

Sì, penso che non dobbiamo dimenticare la nostra storia, la nostra provenienza, le forme primordiali.

6) Ci racconti la Sua esperienza con Tablinum Cultural Management.

Sono stato molto contenta di aver potuto fare un’esposizione con Tablinum a Como, è stata professionale, anche il luogo all’officinacento5 dell’esposizione mi è piaciuto.

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                                                                                                                                           Francesca Corsi