GeaStudio Tablinum: Gea Miniartextil, inauguratasi a Como, sabato 4 aprile 2014, nella splendida cornice di Villa Olmo, fa parte di quei rari prodotti culturali in cui l’eccellenza  dell’arte è raramente declinata con passione e sensibilità. Una mostra, lontana dalle logiche dei grandi numeri a tutti i costi, che ammaliano il visitatore per la sua originalità e per essere prodotto corale da cui traspare l’intensità di una vena artistica mai banale. Quando l’arte riesce a convogliare in sé tutta l’intensità del proprio messaggio non c’è bisogno di ulteriori preconfezionamenti.

L’avventura di Miniartextil, ha avuto inizio 24 anni dal chiostro di Sant’Eufemia a Como,  quando Mimmo Totaro e Nazzarena Bortolaso danno il via alla prima Mostra Internazionale d’Arte Tessile Contemporanea: da allora Miniartextil  ha conosciuto una costante evoluzione nel corso degli anni che ha portato la rassegna dedicata alla Textil Art  ad essere apprezzata e ospitata in prestigiose sedi internazionali

La decisione  dell’amministrazione comunale cittadina di spostare l’appuntamento con Miniartextil in Primavera ha rappresentato una vera scommessa per il team di Miniartextil 2014. Come non ha mancato di sottolineare nel corso della conferenza stampa, l’organizzatrice Paola Re,  non sono mancati momenti piuttosto concitati durante la fase organizzativa che hanno però portato ad un risultato encomiabile: in veste di visitatori non possiamo far altro che constatare la cura amorevole dei dettagli  che caratterizza  l’allestimento di questa edizione non lascia trapelare in alcun modo la preparazione a tempo di record (dal 17 marzo al 3 aprile) che lo ha caratterizzato.

Per questa 24esima edizione, hanno partecipato 385 artisti provenienti da 46 nazioni tutti uniti nel declinare attraverso le proprie opere, minitessili o installazioni, il proprio legame con Gea, la terra, principio vitale che anima noi stessi e il mondo intero.

Un tema che esalta il legame imprescindibile, emblema delle origini della creatività umana e al contempo l’humus nel quale si alimentano nuovi orizzonti creativi. Perché le radici sono più che mai vitali: per sapere dove stiamo andando occorre avere sempre ben presente cosa siamo stati.

La sede di Villa Olmo è scenario d’eccezione  in cui l’architettura  neoclassica e le opere di textil art esposte, innescano un dialogo incessante fra passato e presente;  ci parlano dell’uomo e della sua eccezionale capacità di farsi veicolo fra l’uomo e quella natura di cui al contempo e parte integrante e profondo interprete. Che tanto efficacemente è rievocato dalla distinzione tra natura e naturans, la natura in sé e per sé, Matrix Naturae nella sua purezza e integrità e Natura Naturata rielaborata ma mai manipolata dall’uomo. Un nesso fondamentale che ritroviamo nelle diverse modalità con i quali gli artisti si accostano ad essa.

Oltre installazioni di maggiori dimensioni che animano le sale di Villa Olmo, non può sfuggire la bellezza racchiusa nei  54 minitessili: suggestive creazioni, che non superano mai i 20 cm,  microcosmi che rievocano la personale interpretazione degli artisti e del loro legame con l’energia primigenia della terra. Nei 54 minitessili selezionati sono presenti ben 22 nazioni e accanto all’Italia, si trovano Giappone e Germania, ma anche Cile, Argentina, Libano, Cina, oltre ai rappresentanti del vecchio continente.

Tra le 14 installazioni presenti in mostra vi è il delicato il ricordo di una delle voci interpreti  più delicate ed evocative dell’arte contemporanea italiana:  Maria Lai, tra le più celebrate protagoniste delle passate edizioni  che  Miniartextil vuole celebrare ad un anno dalla scomparsa. Storia universale (1982) con il planisfero  ricamato con filo dorato, colore già di per sé dalle infinite valenze simboliche,  quasi mistiche, su candida stoffa, che ci accoglie all’ingresso dell’esposizione, richiama con il suo intricato groviglio di fili gli innumerevoli legami tra le esistenze delle creature che popolano la terra, i continenti dai contorni sfilacciati aprono a nuovi sentieri, gettano ponti per costruire nuovi legami fra un umanità travolta e disorientata dal mito moderno della globalizzazione nel quale si deve ricodificare se stessi scongiurando il rischio di perdersi.

 Le forti suggestioni  alle quali siamo richiamati  nel corso della visita ci lasciano sospesi in una costante tensione tra cielo e terra che è mirabilmente rievocata nel meraviglioso giardino di Edicara, opera di  Alejandro Guzzetti, dal sapore arcaico e sognante, in cui il concetto di Gea sembra smaterializzarsi mirabilmente e l’artista ci appare sospeso tra cielo e terra, sospeso tra il più arcaico e materico dei quattro elementi e quello più informe ed evanescente della stessa consistenza, di quella che si è soliti attribuire alla reverie d’artista.

La delicatezza dell’istallazione di Junko Jimada, Mother, ci fa indugiare su ricordi di un’infanzia che non appartiene solo alla nostra personale storia, bensì quella dell’intero pianeta e che si riassume qui in quella che sembra ricordare un ‘ancestrale” culla  sospesa nella quale sono incastonate miriadi di bachi da seta cullati con la dolcezza di un vento primaverile un suono di culla che parla di origini perdute e al contempo preannuncia la nascita del nuovo, auspicio per una rinascita cosciente. E’ spontaneo riallacciarsi in quest’opera al particolare legame che ha caratterizzato sul nostro territorio le declinazioni della natura naturans: quello della produzione serica  comasca simbolo del vitale prezioso legame che le terre comasche hanno saputo intessere nei secoli.

I libri che compongono l’installazione di Maddalena Ambrosio appaiono irreparabilmente dimenticati abbandonati, ricoperti di polvere, destinati a non essere mai più aperti, simbolo di un sapere prodotto dall’uomo per poi essere abbandonato a se stesso. Eppure dalla stessa terra queste pagine dimenticate possono trarre nuova linfa trasformarsi in semi, pronti a sbocciare di nuovo ad arricchire il genere umano.

Il visitatore conserva con sè le forti suggestioni fin qui veicolate anche  di fronte all’opera – totem di Benny Posca, Der Gumminbaum, la cui corteccia è realizzata da frammenti di pneumatici e di materiali di scarto di uso industriale ma anche quotidiano; un’opera capace di seminare in noi il germe della riflessione su quanto resterà dell’uomo e del pianeta terra a seguito dei mutamenti ambientali e sociali in atto.

Anamorphose opera di Pascale Peyret, non meno vitale del sangue l’acqua che alimenta i rametti di tradescanzia, conosciuta in spagna come “Amor de hombre”  una scultura che pulsa e vive, omaggio alla pura forza creatrice di Gea che racchiude in sé una spettacolare anamorfosi che il visitatore potrà carpire solo addentrandosi tra la selva iridescente di questa scultura.

A Winter’s tale, è il titolo che l’artista, Mattia Vacca, ha assegnato alla sua opera allestita nel teatrino di Villa Olmo, grazie alla quale rievoca uno dei carnevali  più famosi e antichi delle nostre terre quello di Schignano. Qui il richiamo della terra si manifesta con tutta la liberatoria infrazione delle convenzioni del vivere quotidiano e di un abbandono alla pure espressione del proprio essere. E’ questa la magia che s’innesca, proprio come in una “favola d’inverno” celando, anche se per un giorno soltanto, la propria individualità dietro  una delle maschere lignee del carnevale di Schignano capaci di scacciare l’immobilismo della condizione umana.


Elisa Larese