fotoII Studio Tablinum: su Flavio Claudio Giuliano, detto l’Apostata, si è scritto di tutto, erroneamente alle volte, non possiamo non pensare alla figura di Giuliano come alla figura di un imperatore che ha cercato di restituire, ad un impero ormai avviato verso il decadimento, quell’aura di magnificenza che lo aveva caratterizzato per i precedenti quattro secoli. L’idea di restituire dignità alle “lettere” e al “sapere”, lui amante degli aulici classici greci, sino ai pragmatici commentari di Giulio Cesare. Di restituire un orgoglio perduto ai suoi eserciti, dopo le vittorie di Augustodunum ad Argentoratus, sino all’acclamazione imperale a Lutezia Parisiorum, sempre con incalzate determinazione la stessa che lo aiutò nella sua fanciullezza a sopravvivere alle lotte di potere in seno alla sua famiglia, i costantinidi. Sino ad arrivare all’epilogo nella cittadina di Maranga, dopo essere stato vicino, con il suo esercito, a conquistare la capitale del regno Sasanide, Ctesifonte, a soli trentadue anni Flavio Claudio Giuliano Muore.

Nel tuo ultimo romanzo “Draco, l’ombra dell’imperatore” getti nuova luce sulla figura dell’imperatore Flavio Claudio Giuliano, cosa ti ha spinto a scrivere sulle sue vicende?

Volevo scrivere una storia antica ma che avesse un ritmo incalzante di stampo moderno. Volevo scrivere del passato rendendo il lettore attento del fatto che quel passato, è ancora fortemente radicato in noi, che stiamo vivendo il risultato di decisioni prese più di millesettecento anni fa.

Non potevo quindi che scegliere Flavio Claudio Giuliano e il periodo in cui è vissuto. Un periodo di forti contrasti religiosi, di guerre contro nemici soverchianti e soprattutto di lotte intestine, di tradimenti, di spie, di assassinii decisi nelle stanze del potere. Un sistema che Giuliamo ha cercato di estirpare restandone invece vittima.

Il protagonista, Victor, è infatti una spia al soldo di Costanzo II, che avrà il compito di seguire come un’ ombra il giovane Claudio Flavio Giuliano che la Storia conoscerà come “L’Apostata”. Attraverso gli occhi di Victor il lettore potrà seguire da presso una tra le figure storiche più singolari, straordinarie e controverse che siano mai esistite.

Affiancato a Victor vi è Filopatròs, un greco, anch’egli una guardia del corpo di Flavio Giuliano e forse anch’egli una spia messa li a controllare le mosse di Victor.

Victor, Filopatròs e Giuliano, tre uomini che rappresentano altrettanti ideali politici e religiosi. Uno è senza fede, uno è cristiano ed uno pagano. Uniti come fratelli dall’amicizia, separati dalle proprie ideologie, a tal punto da far divenire laloro fede una sorta di mostro interiore con il quale, loro malgrado, si trovano a combattere.

Le descrizioni delle battaglie sono molto suggestive, sia per la minuzia dei particolari sia per l’attinenza storica, ha influito l’aver fatto parte di un corpo speciale come i paracadutisti?

Direi proprio di si. L’aver assaporato lo spirito di corpo della Folgore come comandante di squadra assaltatori mi ha permesso di trasmettere sensazioni che non avrei mai potuto descrivere se non avessi fatto quell’esperienza. Posso solo immaginare quanto possa essere amplificata questa sensazione di spirito di corpo, facendo parte di una legione che marciava giorno e notte e affrontava innumerevoli nemici in battaglia combattendo all’arma bianca.

 La sensazione che si a leggendo uno dei tuoi romanzi storici e quella di trovarcisi coinvolto in prima persona, ma come ti riesce questa alchimia?

Io ho proprio iniziato a scrivere perché in ciò che leggevo non riuscivo a sentire alcun coinvolgimento. Leggevo di battaglie, combattimenti feroci che duravano in eterno, uomini che continuano a lottare senza curarsi delle ferite e senza mai essere a corto di fiato.

Nessuno scriveva della tensione emotiva, della stanchezza, del freddo, di quello che in minima parte avevo provato io nelle pattuglie notturne sotto una gelida pioggia. Della sensazione di spossatezza che si impadronisce del corpo o della adrenalina che ti tiene in piedi. Della paura, della mancanza di fiato dopo uno sforzo estenuante. Questo mancava in ciò che leggevo e quindi forse chi li aveva scritti non li aveva mai provati. Reggere uno scudo, portare una corazza, sferrare un colpo, due, dieci, venti, quanto può combattere un soldato? Nella mia mente pochi istanti. Ecco, quegli istanti vanno saputi raccontare come se scorressero al rallentatore. Come se ogni battito del cuore fosse una lotta contro la morte. Ma la mia è solo immaginazione.

Su quale altro personaggio storico scriveresti? Nel mondo classico avresti l’imbarazzo della scelta.

Scriverei Draco ancora dieci volte, ma alla fine credo che sarei ripetitivo. Ho scritto di Sertorio, un libro appena finito e sto scrivendo di Publio Decio Mure, un libro appena iniziato. Un giorno o l’altro scriverò di Scipione, ma preferirei non sbilanciarmi troppo in previsioni, io ci metto molto a scrivere libri, mentre per farsi rubare un’idea ci vuole un secondo.

Quali progetti letterari hai per il futuro?

Come ho accennato ho appena concluso un romanzo su Quinto Sertorio. L’idea di scrivere un romanzo sulla sua campagna in Spagna era nel cassetto da prima che cominciassi a scrivere “Draco, l’ombra dell’imperatore”. Gli scenari e la forte personalità di questo generale, lo rendono una delle figure più controverse e discusse dalla storia di Roma. Sertorio è un Romano che combatte il sistema stesso che lo ha creato e lo fa inizialmente da uomo leale, forte, clemente, che supera in acume tattico e strategico tutti i generali che gli vengono inviati contro. Il logorio della lunga guerra e l’incompetenza dei suoi comandanti, lo rendono poi cinico e crudele, proprio come il destino che lo attende e che trasforma i suoi uomini di fiducia in assassini.

L’intramontabile Teodoro Mommsen, nella sua “Storia di Roma”, parla di lui come uno dei più grandi uomini, forse il più grande, che Roma abbia mai prodotto. Plutarco nelle sue “Vite Parallele”, lo dipinge con i tratti vividi di un uomo straordinario e magnanimo condannato da un destino crudele e ingiusto. Studiandolo e cercando di trasporlo in questo libro con la mia immaginazione, mi sono trovato davanti ad un personaggio geniale, coraggioso, ma anche scaltro e opportunista.

In quale modo ti sei accostato alla letteratura?

Il mio amore per la storia è innato. Io a otto anni ho chiesto a i miei genitori di portarmi a Roma a vedere il Colosseo e i Fori Imperiali. Ma l’amore per la scrittura è arrivato molto più tardi e la scintilla che ha innescato il tutto è stata una esposizione di figurini militari che ha cambiato la mia vita portandomi a scoprire, oltre alle attitudini per la pittura, un incredibile mondo di appassionati ed esperti di storia e uniformologia. Una passione che mi ha portato a partecipare a concorsi internazionali e collaborare con alcune riviste del settore italiane ed estere. Una passione che mi ha fatto riprendere in mano i libri di Storia. Una storia diversa da quella che mi propinavano a scuola, una storia scritta nella polvere dagli uomini come i miei nonni e i ragazzi di ogni tempo che hanno servito sotto le armi. Una passione che mi ha guidato dalle campagne napoleoniche ai confini della letteratura classica.

Li ho capito che esercitandomi, in qualche anno avrei potuto diventare un buon pittore di figurini storici, mentre per lo studio della storia, tutta la vita non sarebbe bastata.

 Hai un luogo particolare in cui coltivi la tua ispirazione letteraria?

Io quando scrivo voglio emozionare, toccare il cuore e a volte graffiarlo. È un lavoro che richiede concentrazione, ma è anche adrenalina della creazione e dell’immaginazione. È sforzo mentale e fisico, mi piacerebbe dire che è anche metodo, perché più si scrive e migliore è il risultato, proprio come un atleta che si allena per esprimersi al meglio, ma questo non è il mio caso.

Voglio sottolinearlo, io non sono quasi mai nelle condizioni ottimali per scrivere, i miei lavori non nascono nel mio studio, con una bella musica d’ambiente di sottofondo e il camino acceso e non scrivo nemmeno nei momenti in cui sono più lucido e riposato. Io scrivo con poche manciate di muniti rubate sui treni, nelle pause pranzo nei bar, sulle panchine del parco, nella stanchezza delle ore notturne rubate al sonno. Quello che ho scritto è ciò che ho potuto fare al meglio nelle condizioni in cui mi trovavo in quel momento. Scrivere per me è una battaglia.

La tua qualità letteraria è matura per l’estero? Cosa puoi dirci in merito?

Il prossimo anno esce il mio primo libro in Spagna per Ediciones B. Sono molto contento, ho fortemente voluto la pubblicazione dei miei lavori all’estero e la Spagna si è dimostrata sensibile. Eviterei l’argomento della qualità letteraria perché finirei con lo sparlare della qualità di alcuni libri esteri che leggiamo in Italia. Ma purtroppo il nostro è un paese di esterofili, basta un nome esotico per avere un fascino del tutto particolare, esattamente il contrario di ciò che invece succede nel mercato di lingua anglosassone. Loro giustamente favoriscono i loro scrittori.

Che futuro vedi per la letteratura nel nostro paese? Considerando i tagli al bilancio di questi ultimi anni.

Pessimo. Dall’uscita del mio primo romanzo nel 2010 il mondo dell’editoria è radicalmente cambiato, sembrano passati secoli e invece sono passati tre anni. Tre anni in cui c’è stato un crollo del settore. Fatta eccezione per qualche bestseller mondiale l’industria editoriale si regge con numeri da artigianato. Per sopperire a questa carenza di vendite si pubblicano un’enormità di titoli in modo di avere sempre in libreria delle novità da proporre e questo accorcia la vita di ciascun libro. Le librerie storiche delle città sono state soppiantate da quelle in franchising dei centri commerciali dove si è perso il rapporto con la clientela e dove quindi non si consiglia più un prodotto al lettore che si conosce. Internet poi ha aiutato parecchio a fare piazza pulita degli ultimi lettori. La gente passa più tempo sui social network che a leggere libri. Prendete un treno al mattino e guardatevi intorno, contate quelli che guardano il telefonino e quelli che leggono un libro.

Ma non è detto che un giorno le cose non possano cambiare.

Massimiliano Colombo

massimiliano

Massimiliano Colombo, nato a Bergamo nel 1966, vive a Como dove da anni coltiva, con cura, dedizione ed entusiasmo, la sua innata passione per gli eserciti del passato. Nel 1988 serve nella Brigata Folgore – 2° Btg. Paracadutisti Tarquinia, un’esperienza di vita che ne tempra il carattere e rafforza la sua già grande ammirazione per chi, nelle mutevoli stagioni della storia, indossa un’uniforme.

Nel 1993 visita una mostra di figurini militari che lo introdurrà alla scoperta non solo della propria attitudine alla pittura, ma anche nello straordinario mondo di cultori ed esperti di storia. Partecipa a concorsi internazionali e collabora con alcune riviste del settore italiano ed estero. Dietro ogni realizzazione c’è un’appassionata ricerca storica che gli rivela, di volta in volta, nuovi mondi da esplorare.

Nel 2003 si imbatte in una specialistica versione del De Bello Gallico. Da quelle righe nasce uno slancio, una fervida ispirazione, un moto dell’animo che diviene sfida e al tempo stesso desiderio di fermare il tempo, desiderio di scrivere.

                                                                                                                                                                                                                                        Alessandro Cerioli