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La pittura di Rubén Darío non cerca di descrivere il mondo: lo smonta. Non lo racconta, ma lo ricompone per farne emergere le fratture. Attraverso un linguaggio visivo profondamente radicato nella grammatica del cubismo, Darío costruisce una riflessione acuta e penetrante sul nostro tempo, servendosi di geometrie spezzate, prospettive multiple e colori saturi e dissonanti per mettere in discussione la superficie delle cose, rivelando sotto di essa un paesaggio di rovine e possibilità.
La sua pittura si colloca in quella soglia fertile in cui l’estetica si fa critica, in cui lo sguardo non si limita a osservare ma interroga, destabilizza, svela. In questo senso, il lavoro di Rubén Darío può essere letto come una pratica di decostruzione simbolica della realtà, dove ogni figura è una maschera, ogni volto una facciata, ogni ornamento un codice da decifrare. La maschera, per Rubén Darío, è un elemento centrale. Non è un semplice motivo iconografico o una citazione culturale, ma un vero e proprio dispositivo concettuale attraverso il quale l’artista rielabora e reinventa il concetto picassiano di travestimento. Come in Picasso, la maschera non nasconde, ma rivela: è attraverso di essa che l’essere umano mostra le proprie paure, le proprie contraddizioni, i propri desideri. Nei dipinti di Darío, queste maschere – spesso ispirate al Carnevale veneziano – diventano metafora dell’identità contemporanea: un’identità frammentata, iperconnessa, sovraesposta ma vuota, che danza su un palcoscenico globale mentre il mondo reale affonda.
Queste figure mascherate, costruite con volumi angolari e segmenti cromatici violenti, sembrano fluttuare in ambienti quasi irreali: piazze allagate, canali al neon, sale da ballo surreali, città invisibili. Sono spettatori e attori di una rappresentazione collettiva, in cui i ruoli si confondono e il senso si perde. Darío descrive una società che si rifugia nello spettacolo, nell’apparenza, nell’illusione di un’eternità digitale, mentre tutto attorno si sgretola: l’ambiente, le relazioni, la memoria. Scrive l’artista: “Esploro la tensione tra spettacolo e decadenza, usando geometrie cubiste audaci e colori vibranti per rivelare le fratture sotto le maschere della società.” È proprio in questa tensione che si colloca il suo gesto pittorico: uno scavo visivo, che attraverso la multidimensionalità del cubismo riesce a penetrare la superficie delle cose per coglierne crepe, ambiguità, resistenze.Ma se il lavoro di Rubén Darío è profondamente critico, non è mai disperato. Tutt’altro!
All’interno di queste fratture, l’artista lascia intravedere semi di possibilità. Ogni opera è attraversata da una speranza silenziosa: non quella ingenua del lieto fine, ma quella più lucida di chi sa che dal disincanto può nascere una nuova forma di empatia. È nella scelta di guardare in faccia la decadenza che si apre uno spiraglio per un’etica del prendersi cura. Lo stesso principio guida le sue reinterpretazioni delle icone americane: la Statua della Libertà, Abraham Lincoln, ma anche simboli più trasversali della cultura visiva occidentale, vengono riletti e smascherati, spesso attraverso il linguaggio del drag. In queste figure travestite, Darío scardina ogni mitologia dell’autorità, ogni estetica del potere, per affermare una libertà che non si misura nella forza, ma nella capacità di accogliere la fragilità dell’altro.
“La vera libertà,” afferma, “non risiede nell’aspetto esteriore, ma in come scegliamo di vivere, prenderci cura e sostenerci a vicenda.” La sua pittura, dunque, è tutto fuorché evasione. È impegno visivo, poetico, politico. I colori non decorano: interrogano. Le forme non rassicurano: disturbano, rompono la linearità del pensiero. Eppure, in questo disordine formale e concettuale, si apre uno spazio necessario: quello in cui possiamo ripensare chi siamo, come ci relazioniamo, quali immagini scegliamo di abitare. Rubén Darío ci offre uno specchio distorto – e proprio per questo, più autentico. Ci chiede di guardarci oltre la maschera. E forse, nel farlo, ci restituisce un nuovo modo di vedere il mondo.
a cura di Elisa Larese Moro
Rubén Darío (n. 1987, Venezuela) è un artista contemporaneo noto per il suo linguaggio visivo audace, che combina geometrie cubiste e colori vibranti per esplorare i livelli nascosti dell’esperienza umana. Il suo percorso artistico inizia all’età di cinque anni, quando la nonna gli regala un set di pittura e alcuni libri su Picasso, Dalí e Jesús Soto: un dono che accende in lui una curiosità profonda per l’arte e il potere del colore e della forma nel raccontare storie. Cresciuto in Venezuela e successivamente residente negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi, il lavoro di Rubén riflette una resilienza piena di speranza, radicata in un’infanzia segnata da donne forti e risorse limitate. Nel corso degli anni, il suo stile si è evoluto in un linguaggio distintivo, fatto di linee nette e composizioni stratificate, per affrontare temi come l’identità, la giustizia sociale e la memoria collettiva. Ispirato dallo spettacolo del Carnevale veneziano, i dipinti di Rubén criticano le facciate dietro cui si nasconde la società, offrendo al contempo momenti di speranza silenziosa. Ha esposto a New York, Le Havre, Amsterdam e Los Angeles, con opere che parlano a collezionisti e spettatori in cerca di arte che stimoli riflessione e connessione. Attualmente vive e lavora a Los Angeles, dove continua a sviluppare serie che intrecciano narrazione personale e problematiche globali, credendo profondamente nel potere dell’arte di costruire ponti e ispirare il cambiamento.
Social e Sito Web:
Instagram: @rubendarioconcepts / @rubendarioartist
TikTok: @rubendarioconcepts
Sito: www.rubendarioconcepts.com
SELECTED ARTWORKS:
Le opere di Ruben Dario saranno esposte in occasione di:
The Art Collection. 2 Edition
Torre delle Arti, Bellagio
16 – 24 agosto 2025
Tutti i giorni, dalle 10:00 alle 12:00 e dalle 14:00 alle 20:00
Inaugurazione Sabato 16 Agosto, a partire dalle ore 10.00
Ingresso libero