“Nelle mie vene scorre il sangue di un tempo migliore”
PAUL KLEE

florence_biennaleSTUDIO TABLINUM: l’artista è una creatura straordinaria, travolto dalle mille contraddizioni dell’epoca in cui è immerso eppure capace di lasciare che il proprio sguardo sia costantemente rivolto verso un “quid” informe e denso di presagi contrastanti ma che ha in se l’elettrizzante forza del nuovo saldata a quella dell’arcano.

Un tema sicuramente ardito ma che non può non richiamare nel visitatore una certa gamma di suggestione, è quello della Biennale di Firenze 2013, giunta alla sua nona edizione: L’Etica come DNA, fondamento dell’arte. Viviamo in tempi complicati, spesso preferiamo trincerarci nel mondo delle apparenze piuttosto che fermarci per cercare di comprendere quale sia il ruolo che siamo chiamati a coprire il quel complicato e impalpabile mistero che da sempre è stata l’esistenza. Una continua avventura che si perpetua per generazioni e stagioni dell’uomo, un costante punto interrogativo che si agita nella storia: a questo potremmo paragonare la storia dell’arte. Ecco perché, ora più che mai l’artista ricopre un ruolo fondamentale, quello di armare la propria sensibilità per sondare quali siano nella nostra contemporaneità le radici dell’arte, il suo DNA. Per fare ciò c’è un limite da varcare, impercettibile ai più, che segna il passaggio di un vitale confine per il quale c’è un’arma indispensabile allo sguardo dell’artista contemporaneo: l’etica.

Chissà se passeggiando tra le opere esposte non inizi ad essere sempre più manifesto ad un animo recettivo, capace di liberarsi dai conformismi della propria epoca, i sensi all’erta, pronti a carpire dietro le forme date dall’artista, un tentativo di catturare, magari solo per la fugacità di un palpito delle proprie palpebre, lo spirito che anima la nostra epoca e il presagio che già si dispiega su quella che ancora deve venire. Al giorno d’oggi il senso etico va portato dentro di , più che mai. Un artista non può non sentire la propria opera come parte vitale e attiva della società in cui essa è immersa e allo stesso deve gettare le basi per qualcosa di nuovo che per la maggioranza di noi giace ancora nel dormiveglia delle nostre coscienze. 

Perché, se è vero quanto recita la suggestiva frase di Klee eletta ad emblema di questa Biennale, “nelle nostre vene scorre già il sangue di un tempo migliore”, all’occhio dell’artista la capacità d’interpretarne il presagio e parlarcene attraverso la propria arte, lo rende simile ad un angelo che non può non voltarsi indietro, magari senza celare un brivido di ribrezzo per le brutture dell’uomo ma munito di grandi, bellissime ali con le quali potrà librarsi dalla prigione di una contingenza che già rifiuta, che non è più sua per fondare le basi per una nuova stagione.

Il tema “Etica: DNA dell’Arte” esprime le motivazioni profondamente radicate nella New Florence Biennale e che consentono ai visitatori di esplorare nuove frontiere non solo etiche ma anche estetiche in grado di fornire gli strumenti necessari per riscoprire i valori fondanti del nostro tempo, magari richiamandosi idealmente a quegli stessi principi  che, come già durante l’Umanesimo, sarebbero capaci di ribilanciare l’essenziale apporto dell’artista  nel plasmare il tempo presente.

Nuove suggestioni e strumenti, non per forza convenzionali, sono quelli utilizzati dagli artisti selezionati dal comitato scientifico della Biennale,  che ha saputo fare della eterogeneità e dell’approccio transdisciplinare e metaculturale, il proprio criterio selettivo.
Le iniziative didattiche, laboratori creativi, seminari, e conferenze con artisti ospiti di fama internazionale hanno fatto di questi dieci giorni un momento di incontro e arricchimento culturale ed umano aperto a tutti.
Fermarsi. Intuire per poi comprendere senza prima irrigidirsi nell’infruttuosa pratica del giudicare a priori è la disposizione d’animo con la quale accostarsi a rassegne di arte contemporanea innovative come quella che si è appena conclusa a Firenze. Forse con questa apertura riusciremo, anche noi, a dispiegare un po’ di più le nostre ali immaginarie.

ELISA LARESE